“Il talento sta nelle scelte”: questa scarna riflessione di Robert De Niro a proposito della sua carriera suona come il marchio di fabbrica di uno dei più grandi attori di sempre. Probabilmente quello che meglio caratterizza la New Hollywood degli anni ’70 e che compie 80 anni il 17 agosto festeggiando nel “suo” Greenwich Village con un party esclusivo in un locale italiano. Anche se ha girato in tutto il mondo, anche se ha eletto l’Italia a seconda patria (lo abbiamo appena visto a Napoli in compagnia di Paolo Sorrentino), New York è la sua vera casa e si può dire che la sua immagina si sovrapponga ormai in modo assoluto a quella della Grande Mela.
A Little Italy è diventato protagonista con “Mean Streets“(1973), in quelle strade ha costruito la sua fama con “Taxi Driver” (1976) per poi tornarvi mille volte come in “C’era una volta in America” (1984), nel quartiere di Tribeca (quello delle Torri Gemelle) ha messo radici, promuovendo il nascente Film Festival nel 2003 e sviluppando un’impresa immobiliare che oggi gli permette di fare cinema come hobby personale. Timido, pallido, insicuro, si è fatto spazio grazie a un talento istintivo coltivato con maniacale puntiglio, un sorriso contagioso ma sempre intinto nella malinconia, una versatilità coltivata nei ruoli comici nella maturità, ma impareggiabile in quelli drammatici, specie se legati a personaggi induriti dalla vita e alle prese con la criminalità. Un po’ per l’indissolubile sodalizio con l’amico Martin Scorsese (ad oggi nove film), un po’ per la sua diretta esperienza tra il Bronx e Little Italy, è stato gangster e poliziotto, detective e criminale con assoluta naturalezza ed è difficile scindere il suo talento da personaggi indimenticabili cui la vita ha riservato rabbia, brutalità e redenzione.
Robert Anthony Jr. nasce a Greenwich Village il 17 agosto 1943 da Robert Senior con sangue abruzzese e irlandese e da Virginia Admiral di origini olandesi. I due si sono conosciuti all’Accademia di Belle Arti (lei avrà una certa fama come poetessa e pittrice), ma si separano già nel 1945 quando il padre dichiara la sua omosessualità. Il piccolo Robert andrà a vivere con la madre a Little Italy anche se manterrà affettuosi rapporti col padre per tutta la vita. Cresce da ragazzo di strada con amicizie osteggiate dai genitori, non è uno studente modello, scopre presto la passione per la recitazione debuttando a 10 anni nel “Mago di Oz” in una recita scolastica. Prima di abbandonare le scuole superiori ha già scelto la sua strada, frequenta i corsi di Stella Adler, devota al metodo Stanislavski e poi il celebre Actors Studio di Lee Strasberg. Negli anni ’60 a New York non ci sono molte occasioni per chi sogna il cinema.
De Niro ottiene qualche apparizione in due film di Marcel Carné (“Tre camere a Manhattana” e “I giovani lupi”) a metà del decennio, ma nel 1963 un giovane filmmaker lo ha coinvolto in un vero film indipendente: “Oggi sposi” del debuttante Brian De Palma che, per problemi di censura, uscirà solo nel 1969. Allora però le critiche furono più che favorevoli e attirarono l’attenzione su “Billy Milk” come veniva chiamato per il pallore della carnagione. Lavora altre due volte con De Palma (“Ciao America!” e “Hi Mom!”), passa per la “fucina” di Roger Corman per “Il clan dei Barker”, si fa le ossa con qualche commedia di serie B. Poi con “Batte il tamburo lentamente” (1973) di John D.
Hancock riesce a imporsi anche per la cura maniacale con cui studia il personaggio, un giocatore di baseball, passando settimane intere ad allenarsi coi giocatori. Non gli riesce invece di ottenere il ruolo di Sonny Corleone ne “Il padrino”, ma Coppola si ricorderà di lui chiamandolo per il ruolo del giovane Don Vito nel sequel della fortunatissima saga. Per l’occasione imparerà il siciliano, comprese le sfumature dialettali, e vincerà il suo primo Oscar come coprotagonista nel ’75.
Intanto però, nello stesso 1973, la fortuna (e l’amicizia con de Palma) gli valgono l’incontro che cambia la vita: il debuttante Martin Scorsese, italo-americano come lui, gli affida il ruolo di protagonista in “Mean Street” (a fianco di Harvey Keitel) e dà spazio all’impronta autobiografica che De Niro apporta al personaggio. Due anni dopo i due, in coppia, replicano il successo con lo straordinario “Taxi Driver” che vince la Palma d’oro a Cannes.
Come il ’73 anche il 1975 è per l’attore un anno di svolta: si alterna tra il set con Scorsese e quello con Bernardo Bertolucci che lo ha chiamato per il suo epico “Novecento” nel ruolo del borghese Alfredo Berlenghieri. Da quell’esperienza si consolida il legame di De Niro con l’Italia, consacrato in seguito dalla doppia cittadinanza e dalle visite al paese dei nonni, Ferrazzano in Molise. “L’Italia – ha detto – rimane il paese più bello del mondo, e quello che storicamente ha dato più di ogni altro in termini culturali e artistici. Oggi mi sembra che viva un momento molto caotico, ma ho l’impressione che questa sia una costante della sua storia e che forse proprio da questo caos nasca la sua bellezza”.
Ripercorrere la sua filmografia tra insuccessi diventati mitici come “New York New York”, successi da Oscar (“Toro scatenato”), trionfi assoluti (“Il cacciatore”) e divertimenti di cassetta (la trilogia di “Vi presento i miei”) è quasi un esercizio sterile visto che tra le sue oltre 100 interpretazioni ognuno trova la sua favorita. Ha diretto due film (l’applaudito “Bronx” nel 1993 e l’impegnato “The Good Shepherd” nel 2006), è sempre stato un sostenitore dei Democratici e fiero oppositore di Donald Trump, ha una vita sentimentale turbolenta con sette figli da quattro diverse compagne, diventando padre di Gia ancora lo scorso maggio.
In Italia la sua voce, capace di mille sfumature, è stata legata per una vita a quella di Ferruccio Amendola che però, in molte occasioni, ha lasciato il passo a Stefano De Sando come nell’ultimo capolavoro, “The Irishman”. Di lui dice Martin Scorsese: “Non conosco nessuno in grado di sorprendermi sullo schermo come De Niro per la sua forza e capacità di coinvolgere”.
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